Il Rapporto Draghi sulla competitività è stato presentato a porte chiuse ai capigruppo delle formazioni politiche in Parlamento europeo la scorsa settimana e rivelato al pubblico ieri, lunedì 9 settembre. Da questa pagina si può scaricare il testo completo in inglese.
Draghi è nelle stanze dei bottoni, europee e non solo, da trent’anni, ma anziché ammettere “Abbiamo sbagliato tutto” ora ci viene a dire che per salvare l’Unione europea e la sua economia è necessario indirizzare verso i bisogni delle aziende (che non sono certo pensioni, scuole e sanità) una spesa pari al 4,5% circa del PIL.
Per farlo, suggerisce, si potrebbero usare i risparmi privati: ovvero l’unica cosa che è sopravvissuta alle politiche sue e di quelli come lui.
Per il resto, si può mai uscire da una crisi senza incidere sulle sue cause?
Chiaramente no.
Eppure il rapporto Draghi si situa proprio in quest’ottica. È come quando, 15 anni fa, l’Europa e l’Italia cominciavano a gemere sotto il peso dell’austerity e si sosteneva che gemevano perché di austerity non ve ne era abbastanza.
L’energia è diventata insopportabilmente cara? La scelta di approvvigionarsi il più possibile solo da Paesi amici e omogenei rende più difficili gli acquisti di beni dei quali l’Europa è povera?
Secondo il rapporto Draghi, è come se questo fosse causato dagli astri avversi e ormai scolpito nella pietra: un dato di fatto immutabile, e non una conseguenza del fatto che l’Unione europea si è appiattita su interessi geopolitici ben lontani dai suoi.
Nello stesso modo, il rapporto Draghi non mette minimamente in discussione la guerra e gli aiuti bellici che stanno dissanguando le casse degli Stati membri europei.
Anzi di più! Viene infatti tratteggiato come indispensabile un considerevole aumento della spesa pubblica per la difesa.
Da ogni parola del rapporto Draghi trasuda ammirazione per il modello “socio”-economico (e bellico) statunitense. Le poche righe dedicate alle peculiarità europee e alla necessità di preservare una meno diseguale distribuzione della ricchezza sembrano messe lì per omaggio al bon ton geografico più che per convinzione.
Draghi vuole che la mano pubblica si faccia ancella della mano invisibile del mercato e favorisca la nascita di giganti imprenditoriali europei, o di gigantesche alleanze aziendali, in grado di primeggiare sulla scena mondiale.
La conseguenza inevitabile, anche se nel rapporto rimane implicita, è che questi colossi saranno anche in grado di trasformare il mercato europeo in un monopolio o in un oligopolio. Le piccole e medie imprese vanno bene solo se sfornano innovazioni assolute: in questo caso la mano pubblica deve coccolarle ed accudirle finché non diventano anch’esse di grandi dimensioni.
Il rapporto Draghi è lungo 400 pagine. Ce ne vorrebbero più o meno altrettante per dar conto di ogni dettaglio, tra i quali quello non trascurabile che evoca una sorta di rinascimento dell’energia nucleare (con l’uranio di chi?) considerata pulita e poco costosa: come se la costruzione di centrali nucleari potesse avvenire senza ingenti finanziamenti pubblici.
L’alternativa è riassumere il rapporto in questo modo: la presidente uscente e rientrante della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tiene le 400 pagine di Draghi sul comodino e le legge come se fossero Vangelo.
Dopo l’agenda Draghi in Italia, ora abbiamo fatto un salto di scala: abbiamo l’agenda Draghi per l’Europa.
Abbiamo visto l’agenda Draghi cosa ha comportato in Italia e come abbia spianato la vittoria dei fascisti alle elezioni nazionali. Che all’opposizione la contestavano e una volta al governo hanno continuato ad applicarla.
L’agenda Draghi è stata un disastro per l’Italia; per l’Europa, con in mezzo una guerra, è una Apocalisse.