Un’idea di coesione sociale e di sviluppo sostenibile molto diverse da quella di Renzi. Servono 500 mila firme entro il 25 giugno
Invito a firmare e a far firmare – l’ho fatto nello scorso fine settimana – per i referendum sociali: se indetti ed approvati, cancelleranno trivelle, inceneritori e gli obbrobri che la neolingua governativa chiama “buona scuola”. Io ho firmato a villa Mercede, a San Lorenzo, presso il presidio permanente per i referendum sociali organizzato dall’associazione Park & Forest Rangers. Nella foto compare accanto a me il presidente Giorgio Alessandri. C’é tempo fino al 25 giugno e si può firmare anche nei Comuni.
Ho firmato innanzitutto per il valore politico dei referendum sociali. In un’epoca di forte disgregazione socio economica, essi rappresentano una bella esperienza di collaborazione fra settori della società civile a volte anche distanti tra loro, ma con in comune un’idea di coesione sociale e di sviluppo economico sostenibile molto diverse da quelle del governo Renzi.
Nel merito, innanzitutto ho firmato il referendum contro gli inceneritori per abrogare tutte le norme dell’art. 35 del decreto “Sblocca Italia” che in realtà servono solo a sbloccare gli affari per le lobby dei rifiuti. In una società che pratica una chiusura virtuosa del ciclo dei consumi tramite l’economia circolare (a cui fa riferimento anche l’UE con un pacchetto di norme in corso di discussione), è anacronistico continuare a aumentare il numero e il carico termico degli impianti di incenerimento, dichiarandoli addirittura “strategici” quando andrebbero invece definitivamente chiusi, ed è antidemocratico prevedere l’esproprio dei poteri decisionali in materia da parte del governo, nel caso in cui, le autorità regionali si oppongano a nuovi impianti, all’ampliamento di quelli esistenti o addirittura all’importazione di rifiuti da altre regioni. Si tratta di una norma paradossale che penalizza realtà virtuose e premia realtà non virtuose. Giustissimo dunque abrogarla.
Il referendum contro le trivelle mira a cancellare le norme del 1991 che permettono le trivellazioni sia a mare che su terraferma. E’ ben altro rispetto al referendum anti trivelle su cui si è votato il 17 aprile e che non ha raggiunto il quorum: se questo referendum dovesse avere successo, non potranno più essere concesse autorizzazioni alla ricerca e all’estrazione di idrocarburi e l’Italia sarà finalmente costretta a fare i conti con la transizione energetica verso l’energia rinnovabile.
Con grande soddisfazione ho firmato i quattro referendum contro la cosiddetta “buona scuola”. I primi due mirano ad eliminare lo strapotere dei dirigenti scolastici ai quali vengono affidate enormi poteri discrezionali per la scelta e conferma dei docenti e per l’attribuzione dei premi economici; il terzo mira a sopprimere la possibilità per le scuole (pubbliche e private) di ricevere donazioni: non sono contro le donazioni a favore della scuola, anzi, ma solamente se a beneficio dell’intero sistema scolastico e non ad un istituto in particolare. Va evitato che si possa verificare una diseguaglianza tra scuole a seconda del censo economico di chi le frequenta e di chi conseguentemente dona. Inoltre per gli istituti privati diventa facile eludere il fisco: basta far risultare come una “donazione” una parte della retta. Il quarto referendum sulla scuola mira a sopprimere la cosiddetta alternanza scuola-lavoro che, così come è introdotta, diventa occasione di sfruttamento di manodopera non remunerata da parte delle imprese e sottrae tempo allo studio, generando negli studenti la falsa convinzione che arricchire il proprio bagaglio culturale sia meno importante che farsi sfruttare facendo pratica sotto ricatto.
Infine ho firmato la petizione popolare per l’acqua pubblica che chiede ai presidenti dei due rami del Parlamento di calendarizzare quanto prima la l’approvazione della proposta di legge del 2007 “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico”, nel testo originario firmato da oltre 400.000 cittadini . La proposta di legge – scandalosamente – non é mai stata discussa per ben due legislature, quindi é decaduta. Si tratta di far rispettare la volontà popolare espressa da oltre 26 milioni di cittadini con il referendum contro la privatizzazione dell’acqua pubblica del giugno 2011. Adesso il governo Renzi vuole calpestare questa volontà reintroducento la privatizzazione con il “Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale”, un decreto attuativo della legge delega n. 124/2015 conosciuta come decreto Madia.
Plaudo all’iniziativa per i referendum sociali, che ritengo un baluardo di democrazia in una situazione di totale esproprio del Parlamento dei suoi poteri sovrani e delle sue prerogative legislative, dovuto all’abuso sistematico dell’istituto della decretazione d’urgenza. Tale procedura, contemplata dalla Costituzione solo per i casi “di straordinaria necessità ed urgenza”, è invece diventata la prassi ordinaria. Si è pertanto avviato un infernale corto circuito a base di decreti legge e di voti di fiducia che impedisce ai parlamentari di presentare emendamenti e dunque blocca la normale dialettica legislativa. In queste condizioni di permanente violazione del principio della separazione dei poteri in cui le leggi non le fa più il parlamento, ma il governo, il referendum rimane l’unico strumento per ridare voce ai cittadini.
Se verranno raccolte almeno 500 mila firme entro il 25 giugno, i referendum sociali si terranno nella primavera del 2017. Oltre che nei Comuni, si può firmare presso i banchetti: ecco mappa e calendario.