Il nucleare è nel pniec nonostante i costi, i fallimenti e i due referendum

L’Italia diventa nucleare nel PNIEC che il Governo ha appena inviato a Bruxelles. Questo avviene nonostante i costi, i fallimenti e la bocciatura del nucleare ad opera non di uno, ma di ben due referendum.

L’energia elettrica prodotta dai reattori coprirebbe l’11-22% del fabbisogno nazionale. Nel PNIEC entra anche il CCS, che significa pompare nel sottosuolo l’anidride carbonica prodotta dalle attività climalteranti.

L’applicazione di questa tecnologia, costosissima e deludente anche se l’industria la propone o anzi la sogna da vari lustri, avrebbe come epicentro Ravenna. Un progetto ENI da 2,2 miliardi. Il governo Conte 2, grazie Movimento 5 Stelle, lo rigettò. Quanti fastidi hanno dato il M5S e Conte: e infatti entrambi i governi sono cascati grazie alle manovre del sempiterno Rottamatore.

Il PNIEC è il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima che l’UE chiede agli Stati membri. Deve spiegare come si intende concorrere agli obiettivi UE 2030 di riduzione delle emissioni climalteranti, tenendo anche conto della prospettiva al 2050: è l’anno in cui l’UE dichiara di voler raggiungere la neutralità climatica.

Il documento italiano, redatto dal ministero dell’Ambiente che fa capo a Gilberto Pichetto Fratin, conta 491 pagine. Qui un riassunto.

La prima versione del PNIEC (il nucleare non vi compariva) era stata bocciata dalla Commissione europea perché ritenuta insufficiente. Anche questa, tuttavia, si ferma al di sotto di vari target UE.

I quadri regolatori UE, ivi inclusi quelli più recenti del Green (washing) Deal, prendono in considerazione il nucleare. Vale sia per il Regolamento recentemente riformato sul Mercato elettrico sia per il Regolamento nuovo di pacca per una industria a emissioni nette zero.  Prendono in considerazione il nucleare ma non obbligano al nucleare,  lasciando la scelta agli Stati membri.

Gli italiani hanno bocciato due volte il nucleare con altrettanti referendum, ma il PNIEC gli affida, a medio-lungo termine, la produzione di una quota significativa di energia elettrica attraverso gli SMR, cioè Small Modular Reactors: il cosiddetto mini-nucleare.

Si tratta di reattori che utilizzano la fissione nucleare esattamente come quelli tradizionali, anche se sono più piccoli: quindi rimangono tutti i vecchi motivi per non volerli. Con un’aggravante: si parla di questa tecnologia mini da molti anni, eppure non riesce a decollare.

In tutto il mondo ci sono solo tre mini-reattori in funzione. Si trovano in Cina e in Russia. Un altro è in costruzione in Argentina.

I costi e i tempi di realizzazione sono enormemente lievitati strada facendo. Cina e Russia se la sono cavate – si fa per dire – con una spesa e una durata dei lavori di tre o quattro volte superiore rispetto alle previsioni. Il cantiere argentino è aperto da 13 anni (si pensava che per finire tutto ne sarebbero bastati quattro) e i costi si sono già moltiplicati per sette.

Analoghe lievitazioni si sono prodotte per i reattori nucleari tradizionali di Olkiluoto in Finlandia e Flamanville in Francia, i soli costruiti in Europa negli ultimi 15 anni e tutti e due appena ultimati.

Anche da questo punto di vista il nuovo nucleare del PNIEC equivale a quello vecchio. O anzi, può essere addirittura peggiore.

Infatti,  nel novembre scorso la società statunitense Nuscale, impegnata nella realizzazione di un mini-reattore già approvato dalle autorità nazionali, ha guardato i conti e ha alzato bandiera bianca. Nonostante i sussidi governativi, l’energia elettrica sarebbe stata talmente cara da non trovare acquirenti.

Anche il progetto di mini reattori della EDF francese (Nuward) è in crisi e la cosa riguarda anche l’Italia (Edison ed Ansaldo)

Eppure, è questa la minestra che il Governo vuole farci mangiare.

I mini-reattori nucleari trovano una sola applicazione già rodata da oltre un cinquantennio: nei sommergibili e nelle portaerei nucleari. “A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca”, diceva un tipo un tempo. Se ci si azzecca, pensar male è cosa buona e giusta. Unire i puntini.

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