Biocarburanti e direttiva rinnovabili. Nutrire gli uomini, non le auto

Il principio è recepito in maniera tutto sommato quasi soddisfacente. Viene fatto spazio all’energia ricavata da scarti vegetali come paglia e stoppie o da secondi raccolti. L’UE accompagna l’olio di palma verso la porta d’uscita

Energia rinnovabile e biocarburanti per i trasporti, la perfezione non è di questo mondo e non è perfetta neanche della Direttiva rinnovabili sul cui contenuto il Parlamento Europeo ha recentemente raggiunto l’accordo con il Consiglio UE, l’altro colegislatore europeo. La direttiva stabilisce che entro il 2030 in ogni Stato membro il 14% dell’energia impiegata nei trasporti dovrà essere rinnovabile e contemporaneamente recepisce in misura quasi soddisfacente (anche se purtroppo non assoluta) il principio che la terra coltivabile e ciò che da essa nasce e cresce serve innanzitutto per nutrire il genere umano e gli altri esseri viventi: i biocarburanti non devono affamare le persone per sfamare i serbatoi delle auto.

Viene incluso anche un altro importante principio: la produzione di biomasse per l’energia rinnovabile destinata ai trasporti non deve comportare la trasformazione in campi e piantagioni di foreste, paludi ed altri ecosistemi. E’ il motivo per cui è diventato tristemente famoso l’olio di palma, l’impiego del quale per produrre energia rinnovabile verrà man mano abbandonato e cesserà entro il 2030.

I biocarburanti prodotti a partire da colture alimentari

Nel 2030, stabilisce la Direttiva rinnovabili, la quota di biocarburanti prodotti a partire da colture alimentari non dovrà superare a livello UE il 7% del consumo finale lordo di energia del trasporto stradale e ferroviario. A livello di ciascuno Stato membro, la quota di biocarburanti derivati da colture alimentari non potrà aumentare dopo il 2020, con un margine di flessibilità pari all’1%. Tuttavia gli Stati membri con un impiego di biocarburanti da culture alimentari inferiore al 2%, se lo desiderano, potranno raggiungere questa soglia.

I biocarburanti derivati da colture alimentari, secondo la definizione che ne dà la direttiva rinnovabili, sono quelli prodotti a partire da colture ad alto tenore di amido, di olio o di zucchero, ad esclusione dei sottoprodotti. Un caso tipico è l’etanolo, derivato dalla canna da zucchero oppure dal mais. Il mais costituisce sia l’alimento base degli uomini in America Latina ed in parte dell’Africa, sia un mangime ampiamente usato in zootecnia.

L’olio di palma viene accompagnato verso la porta d’uscita

L’olio di palma rappresenta la più discussa coltura alimentare usata anche come biocarburante. E’ presente in un elenco infinito di cibi e la sua produzione spesso fa rima con deforestazione.

La Direttiva rinnovabili dedica un apposito capitolo ai biocarburanti ricavati da colture la produzione dei quali comporta un alto rischio di cambiamento d’uso del suolo, ovvero un alto rischio che foreste, paludi ed altri ambienti naturali vengano spazzati via per far posto a campi e piantagioni. E’ appunto il problema dell’olio di palma, ma non solo: ad esempio, la foresta pluviale dell’Amazzonia viene distrutta anche per far posto alla coltivazione della soia, che viene usata come mangime nella zootecnia ma può servire anche per produrre biodiesel.

L’impiego dei biocarburanti ad alto rischio di cambiamento d’uso del suolo, stabilisce la direttiva, non potrà aumentare a partire dal 2019; dovrà ridursi a partire dal 2023; dovrà cessare entro il 2030.

Nel 2019 la Commissione Europea dovrà inoltre presentare gli elenchi delle materie prime vegetali che comportano un alto rischio di trasformazione d’uso del suolo e di quelle che comportano un rischio basso. Solo queste ultime potranno continuare ad essere utilizzate per l’energia rinnovabile, ma i biocarburanti prodotti a partire da esse dovranno essere conteggiati all’interno del tetto (al massimo il 7%) dei biocarburanti derivati da colture alimentari.

I biocarburanti prodotti a partire da colture non alimentari

Dal momento che viene posto un tetto sui biocarburanti da colture alimentari, dovrà aumentare la quota dei biocarburanti avanzati che non fanno concorrenza alla produzione di cibo. Questa quota dovrà raggiungere almeno lo 0,2% nel 2022; l’ 1% nel 2025; e il 3,5% entro il 2030.

La Direttiva rinnovabili contiene l’elenco dei materiali utilizzabili per produrre i biocarburanti avanzati: vi figurano fra gli altri alghe, paglia, scarti vegetali, concime animale, fanghi di depurazione, rifiuti organici, vegetali “ad alto tenore di cellulosa ed emicellulosa e a modesto tenore di lignina”. Questa definizione si riferisce ad esempio a colture erbacee come il loglio e il panico; e all’erba fatta crescere sui campi prima o dopo il ciclo vegetativo della coltura principale come copertura vegetale per proteggere il suolo e migliorarne la fertilità.

Il contributo dei biocarburanti non esaurisce necessariamente – anzi! – quel 14% di energia rinnovabile che entro il 2030 dovrà essere impiegato nei trasporti. Per raggiungere il traguardo sarà inevitabilmente necessario fare ricorso ad altre fonti, come l’elettricità da fonti rinnovabili e i cosiddetti electrofuel, che sono ad esempio l’idrogeno e il metano prodotti grazie all’elettricità da fonti rinnovabili.

Nelle norme contenute nella direttiva trova spazio anche il cosiddetto biogas fatto bene, cioè ricavato attraverso la digestione anaerobica degli scarti vegetali e del “secondo raccolto”. Quest’ultima espressione indica la coltura seminata dopo che è stata raccolta quella principale, per sfruttare i mesi in cui altrimenti il campo sarebbe improduttivo. Secondo i principi del biogas fatto bene, il digestato (il materiale organico residuo dopo la digestione anaerobica) in questo specifico caso è di alta qualità e viene restituito ai campi come fertilizzante organico.

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