Le istituzioni dovranno rendere conto del programma per prolungare l’operatività, in Ucraina, dei reattori che hanno già raggiunto l’età pensionabile
Ora le istituzioni dovranno renderci conto dei soldi europei spesi per appendere sul nostro capo una spada di Damocle. Ricordate? Il denaro che appartiene ai contribuenti e ai cittadini contribuisce a mantenere operativi ancora per decenni, in Ucraina, numerosi pezzi d’antiquariato nucleare: reattori di design sovietico, fratelli e cugini di quello esploso a Chernobyl.
Furono progettati per durare trent’anni e ormai sono in età pensionabile. L’operatività viene prolungata per altri decenni tramite un programma di “modernizzazione” finanziato con la partecipazione di Euratom (la comunità europea dell’energia atomica che coordina i programmi degli Stati UE relativi al nucleare) e di EBRD, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo fra i cui proprietari figura l’Unione Europea.
Già alcune settimane fa abbiamo presentato un’interrogazione alla Commissione Europea, chiedendo se non era piuttosto il caso di esortare l’Ucraina a fare a meno dei suoi ferrivecchi nucleari o, in subordine, di costringerla almeno ad applicare le regole europee di sicurezza nucleare. La risposta deve ancora arrivare. Inoltre la scorsa settimana siamo stati fra i promotori di una lettera inviata da 26 europarlamentari ad Euratom e EBRD per esortarli a sospendere il programma di “modernizzazione” dei reattori ucraini. Tutti i firmatari italiani appartengono al M5S: oltre a me, Piernicola Pedicini, Eleonora Evi, Ignazio Corrao, David Borrelli e Tiziana Beghin. In questi giorni la medesima lettera è stata inoltrata agli italiani che siedono nel board della EBRD e al ministro dell’Economia Padoan ad opera dei parlamentari M5S Paola Nugnes, Gianni Girotto (Senato), Marco Da Villa e Salvatore Micillo (Camera).
Nelle due lettere inviate a EBRD si evidenzia come l’Ucraina prolunghi la vita dei reattori senza effettuare la valutazione d’impatto ambientale e la consultazione pubblica con i Paesi confinanti come è invece previsto dalla Convenzione di Espoo cui l’Ucraina e l’UE aderiscono. L’Ucraina fa tutto da sola: e non c’è da fidarsi di SNRIU, la sua autorità per il nucleare. Infatti nell’ambito del programma di “modernizzazione”, SNRIU ha esteso fino al 2023 il funzionamento di un reattore giudicato pericolosamente vulnerabile da studi indipendenti che hanno dimostrato come l’usura di alcune parti supera anche di 10 volte il limite accettabile.
Si tratta del reattore numero 2 al South Ukraine Power Plant. Nella stessa centrale nucleare il reattore numero 1 ha compiuto trent’anni in maggio ed è fermo per permettere decine di riparazioni: quelle che lo SNRIU (l’autorità che non si è accorta dell’usura del reattore gemello) ha individuato come indispensabili in vista dei prossimi vent’anni di funzionamento. Già accordati altri vent’anni di funzionamento anche ai due reattori della centrale nucleare di Rivne. In dicembre poi compirà trent’anni il reattore numero 1 di Zaporizhska, la centrale nucleare più grande d’Europa che si trova a soli 260 chilometri dal fronte della guerra civile.
Tutti i 15 reattori nucleari in esercizio in Ucraina ricadono nel programma di “modernizzazione” finanziato con 600 milioni di fondi europei. Oltre la metà di questo denaro viene utilizzata per prolungarne il funzionamento.