Il crollo del prezzo del petrolio sarà l’inizio del crollo della produzione?

Pubblico la traduzione italiana di un bell’articolo dedicato al crollo del prezzo del petrolio diffuso il mese scorso dal Post Carbon Institute

I prezzi del petrolio si sono dimezzati dalla fine di giugno. Si tratta di uno sviluppo significativo per l’industria petrolifera e per l’economia globale, anche se nessuno sa esattamente come l’industria o l’economia risponderanno nel lungo periodo. Dal momento che è quasi la fine dell’anno, forse questo è il momento giusto per fermarsi e chiedersi: 1) Perché succede questo? 2) Chi vince e chi perde nel breve periodo? 3) Quale sarà l’impatto sulla produzione di petrolio nel 2015?

1) Perché succede questo?

Euan Mearns spiega molto bene qui il crollo del prezzo del petrolio. In breve, la domanda di petrolio si sta indebolendo (in particolare in Cina, Giappone e Europa) dato il rallentamento della crescita economica. Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno importando meno petrolio grazie all’aumento degli approvvigionamenti nazionali, quasi interamente dovuto al ritmo frenetico di perforazione di giacimenti di “tight oil” nel Nord Dakota e Texas con le tecnologie della fratturazione idraulica e la perforazione orizzontale – mentre la domanda si è stabilizzata.

Di solito, quando c’è una squilibrio tra domanda e offerta nel mercato mondiale del greggio, spetta all’Arabia Saudita, primo esportatore al mondo, aumentare o diminuire la produzione col fine di stabilizzare i prezzi. Ma questa volta i sauditi hanno rifiutato di ridurre la produzione e hanno invece unilateralmente ridotto i prezzi ai clienti in Asia, evidentemente perché i reali arabi vogliono tenere i prezzi bassi. Si pensa che i sauditi vogliano punire la Russia e l’Iran per il loro coinvolgimento in Siria e in Iraq. I prezzi bassi hanno il vantaggio (per Riyadh) di spingere fuori dal mercato almeno alcuni produttori di petrolio ad alto costo: tight oil, piattaforme in alto mare, sabbie bituminose nel Nord America – aumentando quindi le quote di mercato dell’Arabia Saudita.

I media descrivono questa situazione come un “eccesso” di petrolio, ma è importante ricordare il quadro generale: la produzione mondiale di petrolio convenzionale (esclusi i liquidi di gas naturale, le sabbie bituminose, il petrolio di alto mare e il tight oil) ha smesso di crescere nel 2005, e in realtà è diminuita un po’ da allora. Quasi tutta la crescita dell’offerta è derivata dalle risorse più costose (e più dannose per l’ambiente), come le sabbie bituminose e tight oil. Di conseguenza, i prezzi del petrolio sono stati molto alti in questo periodo (ad eccezione dei mesi più profondi ed oscuri della Grande recessione). Anche all’attuale basso livello di  55-60 dollari, i prezzi del petrolio sono ancora al di sopra rispetto allo scenario per questi anni tratteggiato dieci anni fa dall’Agenzia Internazionale per l’Energia [la considerazione é valida anche ora che il petrolio ha toccato i 48 dollari al barile, NDT]

In parte, la causa ha a che fare con il fatto che i costi di esplorazione e produzione all’interno del settore sono aumentati nettamente (all’inizio di quest’anno Steve Kopits, dell’azienda Douglas-Westwood che analizza il mercato dell’energia, ha stimato che i costi sono in aumento fin quasi dell’ 11% ogni anno).

In breve, nel corso dell’ultimo decennio l’industria petrolifera è entrata in una nuova era con costi di produzione più alti, rallentamento della crescita dell’offerta, diminuzione della qualità delle risorse e prezzi più elevati. Questo importantissimo contesto è sostanzialmente assente nella maggior parte notizie che trattano la caduta dei prezzi, ma senza questa spiegazione gli eventi recenti rimangono incomprensibili. Se il mercato del petrolio attuale può essere descritto come in uno stato di “eccesso”, questo significa semplicemente che ora, con questi prezzi, ci sono più persone disposte a vendere che a comprare; non dovrebbe essere interpretato come un segnale a lungo termine di abbondanza di risorse.

2) Chi vince e perde, a breve termine?

Gail Tverberg qui fa un grande lavoro di analisi delle probabili conseguenze del crollo del prezzo del petrolio. Per gli Stati Uniti, ci saranno alcuni benefici tangibili dalla caduta dei prezzi della benzina: gli automobilisti hanno ora più soldi in tasca da spendere per i regali di Natale. Tuttavia vi sono anche dei pericoli e più a lungo i prezzi rimangono bassi, maggiore è il rischio. Negli ultimi cinque anni, tight oil e shale gas sono stati i principali motori di crescita dell’economia americana, aggiungendo 300-400 miliardi di dollari all’anno al PIL. Gli stati con  “shale plays” attivi hanno visto un significativo aumento dei posti di lavoro, mentre il resto della nazione si é limitato ad arrancare al seguito.

Il boom dello shale sembra essere il risultato di una combinazione di prezzi elevati del petrolio e facili finanziamenti: con la Fed che mantiene i tassi di interesse vicini allo zero, decine di piccole compagnie petrolifere e gasifere sono state in grado di assumere enormi quantità di debito, cosi da poter pagare le licenze di sfruttamento, il noleggio di impianti di perforazione e il costoso processo di fracking. Questo è stato un magro affare anche in tempi buoni, con molte aziende che sopravvivevano grazie alla rivendita delle licenze e alla finanza creativa perché non riuscivano ad avere un profitto netto sulle vendite del prodotto. Ora, se i prezzi rimangono bassi, la maggior parte di queste aziende diminuirà le attività di perforazione e alcune scompariranno del tutto.

La disfatta del prezzo sta colpendo la Russia velocemente e duramente più di qualsiasi altra nazione. Quel Paese è (per la maggior parte dei mesi) il maggiore produttore mondiale, e il petrolio e il gas sono le sue principali fonti di reddito. A seguito del crollo dei prezzi e sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, il rublo é sprofondato. Nel breve periodo, le compagnie russe del petrolio e del gas sono riuscite in qualche modo ad attenuare l’impatto: dalla vendita dei loro prodotti ricavano dollari di alto valore, mentre pagano le loro spese in rubli che nei cinque anni passati hanno perso circa la metà del loro valore (rispetto al dollaro). Ma per il cittadino russo medio e per il governo nazionale questi sono tempi difficili.

C’è almeno una possibilità che il crollo del prezzo del petrolio abbia un importante significato geopolitico. Stati Uniti e Russia sono impegnati in quelle che possono essere chiamate operazioni di guerra a bassa intensità in Ucraina: Mosca non sopporta quello che ritiene uno sforzo per allontanare l’Ucraina dalla sua orbita e per circondare la Russia con masi militari NATO mentre Washington vorrebbe allontanare l’Europa dalla Russia, impedendo così una possibile integrazione economica a lungo termine di tutta l’Eurasia (che, se dovesse accadere, metterebbe a repentaglio lo status dell’America di “unica superpotenza”, vedi la discussione qui); Washington vede anche l’annessione della Crimea con la Russia come una violazione degli accordi internazionali. Alcuni sostengono che la caduta del prezzo del petrolio é il risultato della richiesta di Washington all’Arabia Saudita di inondare il mercato in modo da schiacciare l’economia della Russia, neutralizzando così la resistenza di Mosca dall’accerchiamento della NATO (anche al prezzo di perdite a breve termine per l’industria di tight oil degli Stati Uniti). La Russia ha recentemente saldato stretti legami economici ed energetici e legami con la Cina, forse anche come reazione; in vista di quest’ultimo sviluppo, la decisione dei sauditi di vendere petrolio alla Cina con uno sconto potrebbe essere spiegato come l’ennesimo tentativo da parte di Washington (tramite il suo mandatario OPEC) per scongiurare l’integrazione economica eurasiatica.

Altre nazioni esportatrici di petrolio con un alto prezzo di equilibrio – in particolare il Venezuela e l’Iran, anche loro nella lista dei nemici di Washington – stanno allo stesso modo vivendo il crollo dei prezzi come una catastrofe economica. Ma la sofferenza è ampiamente diffusa: la Nigeria ha dovuto ridisegnare il suo bilancio governativo per il prossimo anno e la produzione di petrolio nel Mar del Nord si sta avvicinando a un punto di collasso.

Gli eventi si stanno svolgendo molto rapidamente, e le pressioni economiche e geopolitiche stanno aumentando. Storicamente, circostanze come queste hanno a volte portato a grandi conflitti aperti, anche se una guerra aperta tra Stati Uniti e Russia rimane impensabile a causa dei deterrenti nucleari che entrambe le nazioni possiedono.

Se davvero esistono elementi relativi ad un intrigo geopolitico guidato dagli USA (e dichiaratamente si tratta in gran parte di ipotesi), essi portano con sè un serio rischio di contraccolpo economico: sembra che la caduta del prezzo del petrolio stia facendo scoppiare la bolla dei titoli spazzatura ad alto rendimento connessi alle attività energetiche che, insieme all’aumento della produzione di petrolio, hanno contribuito ad alimentare la “ripresa” economica americana, e questo potrebbe avere come conseguenze non solo la perdita di posti di lavoro in tutto il settore energetico, ma anche un contagio di paura nel settore bancario. Così le conseguenze ultime del crollo dei prezzi potrebbero includere un panico finanziario globale (John Michael Greer descrive questa eventualità in modo convincente e, come sempre, piuttosto divertente), anche se è troppo presto per considerare questo sviluppo qualcosa in più di una semplice possibilità.

3) Quali saranno le conseguenze per la produzione di petrolio?

In realtà c’è una buona notizia per l’industria petrolifera: la diminuzione quasi certa nei prossimi mesi dei costi di produzione. Le imprese dovranno tagliare le spese ovunque è possibile (attenzione, manager di medio livello!). Man mano che gli impianti di perforazione vengono lasciati inattivi, i costi di noleggio delle piattaforme diminuiranno. Visto che il prezzo del petrolio è un “ingrediente” del prezzo di quasi tutto il resto, il petrolio più economico ridurrà i costi di logistica e trasporto su ferrovia e nave cisterna. I produttori ritarderanno gli investimenti. Le aziende si concentreranno solo sulle zone di perforazione più produttive e a più basso costo, e questo diminuirà ancora di più i costi medi del settore. In poco tempo, il settore si presenterà agli investitori come magro e poco generoso. Ma la vera ragione per la quale i costi di produzione sono incrementati nell’ultimo decennio non é sparita: il declino della qualità delle risorse man mano che i vecchi giacimenti di petrolio convenzionale si prosciugano. E i luoghi di perforazione più produttivi e a più basso costo (noti anche come “sweet spot”) sono limitati in termini di dimensioni e numero.

L’industria sta facendo buon viso a cattivo gioco e per una buona ragione. Le aziende di shale hanno bisogno di apparire redditizie per evitare l’evaporazione delle loro obbligazioni. Le principali compagnie petrolifere in gran parte sono rimaste lontane dal coinvolgimento nel boom del tight oil; tuttavia, i prezzi bassi obbligheranno anche loro a ridurre gli investimenti. Le operazioni di trivellazione non cesseranno: si limiteranno a contrarsi (il numero dei permessi per la realizzazione di nuovi pozzi di petrolio e gas negli USA emessi nel mese di novembre è sceso del 40% rispetto al mese precedente). Molte aziende non hanno altra scelta che continuare a perseguire i progetti che le impegnano già finanziariamente, quindi non vedremo cali di produzione sostanziali per diversi mesi. La produzione di petrolio dalle sabbie bituminose del Canada probabilmente continuerà al ritmo attuale, ma non aumenterà dato che i nuovi progetti, per poter chiudere in pareggio, richiederannno un prezzo del petrolio pari o superiore al livello attuale.

Come mostra l’analisi di David Hughes del Post Carbon Institute, anche senza il crollo del prezzo ci si sarebbe aspettati che la produzione nel Bakken e nell’Eagle Ford plays avrebbe raggiunto il picco e avrebbe cominciato a declinare rapidamente entro i prossimi due o tre anni. Il crollo del prezzo può solo accelerare l’inevitabile punto di flessione.

Di quanto e con quale velocità diminuirà la produzione mondiale di petrolio? Euan Mearns descrive tre scenari; il più probabile (secondo lui) è che la capacità di produzione mondiale si contrarrà di circa due milioni di barili al giorno nei prossimi due anni come conseguenza del crollo prezzo.

Possiamo essere testimoni di una delle piccole ironie della storia: l’inizio storico di un inevitabile, generale, persistente declino della produzione mondiale di combustibili liquidi può essere introdotto non da un aumento alle stelle dei prezzi del petrolio, come  nel 1970 o nel 2008, ma da un crollo del prezzo che almeno alcuni esperti considerano come la morte del “picco del petrolio”. Nel frattempo, i pericoli economici e geopolitici derivanti dal crollo del prezzo del petrolio rendono le aspettative di business-as-usual per il 2015 piuttosto basse.

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