Era il 2006 quando fui attirato nel mese di ottobre da alcuni fiori estremamente piacevoli che crescono abbondanti e spontanei nel terreno della mia compagna in quel di San Giovanni a Piro al confine del Parco Nazionale del Cilento.
Dall’ammirazione al prelievo di pochi bulbi il passo è stato brevissimo. Trapiantati il giorno dopo a Roma persero presto i fiori, ma potei constatare dopo qualche settimana e con grande piacere che le sottili foglie oblunghe e rigate erano rimaste vitali.
Gli anni successivi questi bulbetti si moltiplicarono fino a riempire una piccola foriera che ogni anno verso ottobre ha rallegrato la mia terrazza romana con i sui fiori fantastici.
Devo dire che già tempo fa mi venne il dubbio che fossero fiori di zafferano, ma il mio sospetto fu’ presto smentito da una mia cara amica fiorista che nella più totale buona fede e per tutelare la mia salute mi aveva allertato al fare attienzione che non fossero dei semplici e velenosi colchici autunnali.
Ma questo autunno… mentre potavo le piante in terrazza vidi le api che ronzavano felici intorno alla fioriera. Mi chiesi: “E’ possibile che questi fiori siano velenosi se le api li gradiscono tanto?”.
L’ape si è poi appoggiata sulla tenda del terrazzo ed ho sfruttato l’occasione per fotografarla bene.
Neanche l’avvicinarsi della macchina fotografica le disturbava come ipnotizzate da fortissimo odore di miele che si liberava, tanto forte quasi da stordirmi l’olfatto.
Una accurata ricerca su internet ha portato alla scoperta che quei fiorellini che avevo in terrazza da anni erano di una specie selvatica di zafferano, il Crocus Longiflorus anche detta Zafferano Autunnale, che non è il Crocus Sativus che è quello che si coltiva per la produzione dello zafferano, ma che comunque possiede lo stesso i preziosi stimmi di colore rosso intenso.
Il passaggio alla raccolta degli stimmi ed alla loro essiccatura a temperatura moderata (sopra il termosifone protetti da una scatola di polistirolo) è stato entusiasmante. Poche decine di milligrammi sono stati in grado di lasciare il loro odore inebriante in cucina e sulle mani per giorni e per condire dei fantastici risotti e delle spettacolari mozzarelle di bufala.
Davvero niente a che vedere con il normale zafferano che siamo soliti acquistare nei supermercati…
Una nota di stupore mi ha inoltre colto quando, informandomi su google, ho scoperto che lo zafferano era coltivato e usato dai monaci basiliani. Ebbene il terreno dal quale ho prelevato i primi bulbetti è confinante con un cenobio basiliano dell’anno mille. Chissà che quel luogo e la natura non abbiano conservato in quel luogo nei secoli l’essenza originaria degli antichi monaci. Dato che nella zona comunque cresce spontaneo stiamo pensando questa estate di allestire in via sperimentale una piccola coltura locale di zafferano: compreremo qualche migliaio di bulbi di Crocus Sativus a giugno e li metteremo a dimora ad agosto, e nel frattempo concentreremo parte dei bulbi selvatici di Crocus Longiflorus in una sola zona, in modo da avere due filiere, una di zafferano standard ed una di zafferano selvatico.
Stiamo anche pensando nell’ottica permaculturale di provare la sinergia con il trifoglio nano, la veccia o il trifoglio incarnato per fornire azoto alle piantine a differenza del protocollo standard che prevede piuttosto la concimazione con letame, il terreno nudo intorno e lo spostamento periodico dei bulbi.
Il primo raccolto dovrebbe avvenire a ottobre 2011. Se il progetto andrà in porto non mancheremo di tenervi aggiornati!
Alcune info sullo Zafferano, storia, proprietà mediche e culinarie si possono reperire in questa esauriente tesina di Simone Conti: Lo zafferano: il fiore, la storia, le sue contraffazioni e le analisi per smascherarle.
Aggionamento del 15 luglio: ho iniziato a scegliere la zona ove mettere a dimora i bulbi usando la carta del sole.
Articolo scritto per “Il Cambiamento“