Referendum trivelle. Come il SI cancellerebbe due grandi regali ai petrolieri

Altro che referendum inconsistente e pretestuoso come dichiarato da Giorgio Napolitano.

Il superamento del quorum e una vittoria del  domenica 17 aprile, consentirebbe di cancellare due regali ai petrolieri:

  1. la possibilità de facto di aggirare il pagamento delle royalties e
  2. di rimandare all’infinito le consistenti spese per smantellare le piattaforme.

Vi spieghiamo perché.

Si vota per abrogare le disposizioni che ora consentono di continuare ad estrarre petrolio e gas in mare entro le 12 miglia dalla costa finché si vuole, o finché non si esauriranno i giacimenti. Tutte le altre concessioni per estrarre idrocarburi in Italia hanno una durata limitata nel tempo.

Le royalties sono le percentuali sul valore degli idrocarburi estratti che le società petrolifere versano alle casse pubbliche. L’Italia  richiede royalties irrisorie e offre generosissime franchigie: se si può sfruttare un giacimento senza limiti di tempo, si può anche dosare l’estrazione per mantenerla entro i limiti delle franchigie, così da non pagare mai le royalties.

Inoltre gli impianti estrattivi vanno smantellati al termine della “fase produttiva”: se non esiste la data entro la quale la produzione deve cessare, la costosa rimozione delle piattaforme è rimandata alle calende greche.

Alla luce di questi due regali, diventano succulenti anche i giacimenti più poveri: perché tali sono quelli italiani.

Il quesito referendario

Il quesito referendario chiede ai cittadini se vogliono abrogare la norma, introdotta dalla legge di stabilità 2016, che permette di sfruttare per un tempo indefinito le 44 concessioni ora in vigore relative a giacimenti di idrocarburi entro le 12 miglia nautiche dalla costa. Le concessioni situate più al largo o sulla terraferma scadono dopo trent’anni, prorogabili per un massimo di altri 20. Se vince il Sì, le 44 concessioni entro le 12 miglia (cui fanno capo 92 fra piattaforme e strutture varie) cesseranno gradatamente di produrre idrocarburi fra il 2018 e il 2034, cioé allo scadere dell’attuale permesso di estrazione o della proroga già richiesta. Le nuove trivellazioni entro le 12 miglia sono vietate, ma se fallisse il referendum potrebbe essere relativamente facile azionare le trivelle per scavare altri pozzi legati a giacimenti già in corso di sfruttamento entro le 12 miglia.

Le royalties

Non ci sono dati ufficiali sulle royalties versate alle casse pubbliche dalle trivelle oggetto del referendum. Si calcola che siano pari a 38 milioni all’anno. Nel 2015, tutte le royalties su petrolio e gas hanno fruttato all’Italia 351 milioni: circa 5 euro a testa. Il Governo ha speso 300 milioni evitando di accorpare il referendum alle elezioni amministrative… Le royalties italiane sono pari al:

  • 10% del prezzo per il gas e il petrolio estratti sulla terraferma
  • 7% del prezzo per il petrolio estratto in mare
  • 4% del prezzo per il gas estratto in mare.

Però ogni anno sono esenti dal pagamento delle royalties

  • le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte in terraferma
  • le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare
  • i primi 25 milioni di metri cubi di gas estratti in terra
  • i primi 80 milioni di metri cubi estratti in mare

In Croazia (che come la Francia ha istituito una moratoria sulle trivellazioni nel Mediterraneo) le royalties sono cinque volte più alte; in altri Paesi, le royalties sul petrolio vanno dal 25% della Guinea alle tassazioni sugli utili dei petrolieri vicine all’80% chieste dalla Norvegia.

La produzione

Le concessioni oggetto nel referendum hanno fruttato nel 2015 una quantità di petrolio pari allo 0,8% dei consumi italiani e una quantità di gas pari al 2,1% dei consumi italiani. I calcoli, desunti dai dati ministeriali, sono di Aspo Italia. Come il caso di Tempa Rossa insegna, tuttavia, l’interesse dei petrolieri é esportare: i consumi interni possono essere utilizzati solo come comoda pietra di paragone. La piccola quantità di idrocarburi in gioco col referendum é anche pari al 28,1% della produzione nazionale di gas e al e al 10% della produzione nazionale di petrolio, come recita in questi giorni l’home page dell’UNMIG, la Direzione per le attività estrattive e minerarie del Ministero del Tesoro. La produzione italiana é infatti assai scarsa, così come le riserve custodite dal sottosuolo.

In Italia vengono estratti ogni anno quantitativi di gas e petrolio in grado di soddisfare, rispettivamente, il 12% e il 10% dei consumi nazionali. Le riserve ancora recuperabili di gas in Italia sono di 88,5 MTep: una quantità che sarebbe sufficiente a soddisfare il consumo nazionale per un anno e mezzo. Le riserve ancora recuperabili di petrolio sono di 142 MTep e basterebbero a soddisfare il consumo nazionale per due anni e mezzo (elaborazioni di ASPO Italia su dati UNMIG) Ovviamente, più rapidamente questi idrocarburi vengono estratti, più rapidamente le riserve si esauriscono.

I posti di lavoro

Secondo i dati ISFOL (un ente pubblico di ricerca sul lavoro), in tutt’Italia sono circa 9.000 i posti di lavoro legati alle trivellazioni per petrolio, gas ed acqua. Non esistono dati sui posti di lavoro nelle concessioni oggetto del referendum. In compenso, esistono informazioni che attribuiscono 8.000 posti di lavoro al grande business dell’estrazione di acqua minerale in italia. In ogni caso, l’estrazione di petrolio e gas sono tipici settori capital intensive: richiedono grandi quantità di denaro, non grandi quantità di manodopera.

Gli effetti : inquinamento, subsidenza, rischio sismico

L’estrazione di petrolio e gas comporta un impatto ambientale anche in assenza di incidenti. Come ha evidenziato Greepneace nel suo recente “Trivelle fuorilegge”, il problema principale nasce dalle acque che vengono estratte insieme agli idrocarburi e che contengono varie sostanze tossiche, fra cui metalli pesanti e isotopi radioattivi. I sedimenti attorno a due terzi delle piattaforme prese in esame da Greenpeace superano i limiti che definiscono  il “buono stato” chimico dell’ambiente; gran parte delle cozze cresciute sulle piattaforme contiene concentrazioni di metalli pesanti più alte di quelle presenti nelle cozze cresciute lontano dalle attività estrattive.

Per una vasta area attorno ai pozzi di idrocarburi spesso viene rilevata la subsidenza (abbassamento del suolo o dei fondali): notevole quella riscontrata dall’ARPA Emilia Romagna in prossimità di Angela-Angelina, un campo di estrazione del metano in mare che ricade entro le 12 miglia dalla costa e che é situato di fronte a Ravenna: la quale sta sprofondando nel mare.

La scienza non é in grado di dire se l’estrazione degli idrocarburi in un dato luogo causerà o meno un terremoto. E’ però in grado di stabilire se é statisticamente probabile la correlazione fra un terremoto che si é già verificato e le attività estrattive praticate nelle vicinanze. Uno studio pubblicato nel 2012 dall’istituzione scientifica statunitense National Research Counsil mette in rilievo come l’estrazione di petrolio e gas con tecniche convenzionali sia in grado di innescare terremoti e compila una lunga lista di terremoti attribuibili alle attività umane. In Olanda, sono attribuiti all’estrazione di gas con metodi convenzionali numerosi terremoti verificatisi nella regione di Groningen: non particolarmente forti ma tali da causare danni significativi alle abitazioni.

Le carte geografiche del petrolio e del gas in Italia

Legambiente ha elaborato la mappa delle concessioni per l’estrazione e la ricerca di petrolio e gas che ricadono entro le 12 miglia dalla costa e che sono l’oggetto del referendum

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Su La Stampa è uscita la mappa delle concessioni per lo sfruttamento e per la ricerca degli idrocarburi e delle aree in cui é possibile chiedere permessi di ricerca (clic sull’immagine per andare all’originale).

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Foto

 

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