PNIEC, Piano nazionale integrato energia e clima: l’UE boccia l’Italia.
La Commissione europea ha pubblicato, mercoledì 28 maggio, la propria valutazione del documento attraverso il quale l’Italia (non) spiega come intende raggiungere gli obiettivi 2030 relativi a riduzione delle emissioni di gas serra (-55% a livello UE) e transizione verso le energie rinnovabili.
Già a fine 2023 la Commissione europea aveva rispedito al mittente il Piano nazionale integrato energia e clima dell’Italia. Il Governo l’ha riscritto. Ora la valutazione di Bruxelles lascia intendere che Meloni e Pichetto Fratin, in veste rispettivamente di capo del Governo e di ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, meritano il Premio Attila.
Attila era il condottiero unno soprannominato flagello di Dio. Si diceva che, dove passava il suo cavallo, non cresceva più l’erba. E infatti secondo la Commissione europea uno dei punti particolarmente dolenti del PNIEC italiano riguarda la gestione del territorio e della sua copertura vegetale.
Boschi e campi – per farla breve – sono in grado di assorbire anidride carbonica, il principale gas dell’effetto serra. In proposito esiste un regolamento UE chiamato LULUCF. L’acronimo sta per Land Use, Land Use Change, Forestry. Significa: uso del suolo, cambiamento dell’uso del suolo e gestione delle foreste. Detta in sostanza le regole da seguire affinché la natura, o ciò che ne resta, possa efficacemente contribuire a mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
La Commissione europea scrive che in questo settore l’Italia non solo non ha migliorato, ma ha addirittura peggiorato le sue prestazioni. Scrive anche che il PNIEC non prevede i provvedimenti necessari per rimettere in carreggiata il Paese e proteggere, tra le altre cose, i cittadini e le comunità dagli effetti diretti e indiretti del caos climatico.
Anche se non volessimo tenere conto delle valutazioni della Commissione europea, per avere una idea di come l’Italia tratta il territorio basta guardare i dati sul consumo di suolo o la legge regionale del Lazio voluta dalla maggioranza di centro destra e prossima all’approvazione. Permette più cemento nelle campagne e diminuisce la protezione offerta al paesaggio.
Per quanto riguarda il PNIEC, ci si aspetta che entro il 2030 l’Italia riduca le sue emissioni di gas serra del 49%. Non del 55%, che è l’obiettivo UE. Non sono previste adeguate misure per il risparmio energetico negli edifici, né a favore delle famiglie in difficoltà per il costo troppo elevato dell’energia. Manca inoltre un preciso piano per eliminare i sussidi ai combustibili fossili. Le emissioni provenienti dal settore dei trasporti, anziché diminuire, sono in aumento.
Il contributo delle energie rinnovabili si prospetta come risicatamente sufficiente (previsto che per il 2030 raggiunga il 39,4%, appena al di sopra richiesto 39%), ma il decreto cosiddetto aree idonee di fatto finora ne ha ostacolato lo sviluppo, anche grazie al governo di alcune regioni, come la Sardegna, che si oppongono alle rinnovabili. Non c’è neppure un quadro chiaro di come l’Italia intenda dare spazio al nucleare, al quale pure questo Governo tiene così tanto.
La strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici è insufficiente, soprattutto a proposito della gestione dell’acqua.
Il procedimento pubblico per la Valutazione Ambientale Strategica del PNIEC, richiesto dalle norme UE, è ancora in corso (su questo punto specifico ho presentato un’interrogazione alla Commissione europea a novembre 2024) e sono state fornite solo informazioni limitate sulle proposte che la consultazione pubblica ha prodotto, ma che il Governo ha scartato.
Il “voto” della Commissione europea del PNIEC italiano si inserisce nella valutazione dei piani di tutti gli Stati membri. Il documento d’insieme, che pure adotta l’abituale linguaggio felpato e ottimista, cita espressamente l’Italia perché, come Spagna, Grecia e Francia, dovrebbe aumentare l’interconnessione con le reti energetiche transfrontaliere.