Le etichette che indicano l’efficienza energetica delle apparecchiature che consumano energia esistono da oltre vent’anni. Sono sugli elettrodomestici di uso quotidiano come lavatrici, lavastoviglie, frigo. Consentono di scegliere i prodotti che, a parità di servizio, consumano meno energia e altre risorse. Sono nate con una scala con i colori dal verde al rosso e con le lettere dalla A alla G. Nel corso del tempo la normativa si è stratificata ed accumulata, anche perché i gruppi di prodotti da etichettare sono aumentati progressivamente. Di qui la necessità di rivedere il tutto.
Perché bisogna rivedere le etichette
Oggi l’etichetta energetica si applica a 12 gruppi di prodotti, per alcuni da molti anni, per altri da pochi mesi. I miglioramenti nell’efficienza energetica dei prodotti non sono avvenuti in modo uniforme per tutti i gruppi etichettati. Si sono determinati quindi dei successivi aggiustamenti alle scale di classi applicabili ad ogni gruppo, tanto che oggi esistono sul mercato fino a 9 gamme diverse: per alcuni prodotti il range va da A+++ a D, in altri da A a G, in altri ancora da A++ a E, e così via. Chi deve acquistare un prodotto si trova quindi di fronte una realtà che vede l’esistenza di più di 75 tipi diversi di etichetta, ritrovandosi evidentemente più spaesato che informato.
Quello che si è mantenuto nel tempo sono solo i colori della scala, visto che in molti casi in basso sono scomparsi uno o più gradini ed in alto sono stati aggiunti fino a tre gradini contrassegnati con A+, A++ ed A+++.
L’introduzione dei “più”, avvenuta nel 2010, ha generato una situazione per cui oggi la classe A non indica più sempre la migliore efficienza energetica, nè tantomeno il prodotto che consuma di meno. Fra un’apparecchiatura di classe A ed un’apparecchiatura di classe A+++ a volte c’è la stessa differenza che passa fra un’apparecchiatura di classe D e un’apparecchiatura di classe A. Può sembrare che un “più” indichi solo migliorie modeste: invece è un gradino della scala come tutti gli altri. Per gli acquirenti è diventato ancora più facile fare confusione.
Cosa é in gioco
Le etichette energetiche unite all’ecodesign, ossia all’introduzione progressiva di criteri più stringenti di produzione, consentono un risparmio energetico stimato dalla Commissione europea in 175 Mtep all’anno entro il 2020: all’incirca la quantità di energia consumata in un anno dall’Italia.
I furbetti dell’etichetta
Le etichette dell’efficienza energetica sono basate su standard il cui contenuto non viene reso noto al pubblico, se non su salato pagamento o seguendo procedure di accesso ai documenti che sono molto complicate. L’assegnazione di una classe o di un’altra consiste fondamentalmente in un’autocertificazione dei produttori. I controlli su tali autocertificazioni sono affidati alle autorità nazionali di sorveglianza del mercato (in Italia la Direzione XIII del Ministero dello Sviluppo Economico assieme all’Agenzia delle Dogane), che raramente hanno risorse e laboratori sufficienti.
Il risultato è che la Commissione europea stima che il 10-25% delle etichette non sia conforme, con un mancato risparmio energetico (e conseguenti maggiori spese per i cittadini) pari a 17 Mtep di energia all’anno. Si tratta di una quantità di energia all’incirca pari al consumo annuale della Slovacchia. Legambiente ha approfondito la situazione in Italia.
La fiducia degli acquirenti è stata inoltre duramente messa alla prova non solo dai recenti scandali legati al Volkswagengate ma anche da notizie legate agli elettrodomestici. Esistono televisori che riducono il consumo di energia (e dunque appaiono più efficienti) ogni qualvolta vengono trasmesse immagini in movimento molto veloce o molto lento: sono condizioni che sebbene si verifichino raramente durante il normale funzionamento domestico, accadono invece con frequenza durante i test che misurano l’efficienza energetica.
Più in generale, i test che determinano la classe energetica sono basati su condizioni di impiego che a volte non rispecchiano l’uso reale delle apparecchiature. Ad esempio, gli aspirapolvere vengono testati per l’efficienza energetica quando il contenitore che raccoglie la polvere é vuoto, mentre il normale funzionamento domestico presuppone di regola che esso non lo sia. In proposito é stato addirittura presentato un ricorso alla Corte Europea di Giustizia, che lo ha respinto, non perché infondato, ma perché non é stato possibile dimostrare l’esistenza di test affidabili e riproducibili condotti in presenza di polvere.
La proposta della Commissione europea
Da queste considerazioni deriva la necessità di rivedere le regole in materia di etichette con l’obiettivo di mettere ordine al più presto, in modo da poi ripartire da una realtà più chiara e semplice ad aggiungere nuovi gruppi di prodotti da etichettare (i prossimi ad entrare nel campo di applicazione dell’etichetta saranno probabilmente i vetri per finestre).
Nel luglio 2015, la Commissione europea ha avanzato una proposta legislativa per rivedere e razionalizzare le etichette in base a questi capisaldi:
- riportare tutte le etichette alla scala A-G entro cinque anni
- lasciare vuoti i due gradini in cima alla scala per far spazio ai futuri miglioramenti nell’efficienza energetica
- rivedere ogni 10 anni circa le etichette di ogni categoria di prodotto per liberare i due gradini superiori
- creare un database riservato relativo ai prodotti con le informazioni necessarie alle autorità per la sorveglianza del mercato; aggiungere a questo database una parte pubblica che consiste essenzialmente in una versione on line delle etichette
- normare le etichette energetiche attraverso un regolamento UE, direttamente applicato in tutti gli Stati membri, e non più attraverso una direttiva (lo strumento finora utilizzato) che può produrre risultati disomogenei perchè va poi recepita in ogni legislazione nazionale. Qui la differenza fra direttive, regolamenti ed altri atti.
L’iter legislativo
In base alla procedura legislativa ordinaria dell’UE, il Parlamento europeo deve definire le correzioni che vorrebbe apportare alla proposta della Commissione Europea; altrettanto deve fare il Consiglio dell’Unione, formato dai ministri degli Stati membri. Infine, Parlamento e Consiglio discutono (nel “trilogo”) fino a convergere su un testo legislativo comune e – separatamente – lo approvano nell’identica forma. Solo a questo punto la riforma delle etichette può dirsi compiuta ed entrerà in vigore.
In seno al Parlamento europeo, l’iter della proposta della Commissione europea inizia al livello della commissione parlamentare competente per la materia e termina con il voto dell’assemblea plenaria. Un deputato (il relatore, in francese rapporteur) elabora una relazione sul testo legislativo della Commissione europea. La commissione parlamentare vota su tale relazione, eventualmente modificandola attraverso gli emendamenti. Se la relazione viene approvata dalla commissione parlamentare a maggioranza semplice, l’intero Parlamento europeo definisce la posizione che dovrà essere discussa con il Consiglio, eventualmente apportando modifiche alla relazione votata dalla commissione parlamentare (lo strumento sono sempre gli emendamenti) e votandola in aula plenaria. Se invece la relazione é approvata dalla commissione parlamentare a maggioranza qualificata, il relatore può ricevere direttamente l’incarico di condurre il “trilogo” con il Consiglio dell’Unione per convergere su un testo comune, che solo a questo punto viene sottoposto al voto dell’intero Parlamento europeo.