Le emissioni di gas serra che stanno friggendo il pianeta derivano dal business as usual: dal modo in cui normalmente vengono condotte le attività economiche e sociali. E’ in corso a Parigi la conferenza COP21, durante la quale i grandi della Terra cercano di accordarsi per limitare i cambiamenti climatici. Ma é importante chiedersi se la COP21 é in grado di offrire una soluzione alla crisi climatica o se invece fa parte del problema che intenderebbe risolvere.
Lo sponsor principale, l’ “headline partner” che compare sul sito internet della COP21, é una casa automobilistica. Le auto sono alimentate dai combustibili fossili: hanno contribuito e contribuiscono significativamente alle emissioni climalteranti. A seguire, e su vari altri siti internet ufficialmente collegati all’evento, troviamo come sponsor una seconda casa automobilistica, società dell’energia strettamente legate ai combustibili fossili, banche, una compagnia aerea, multinazionali, un produttore di pneumatici… Tutte attività che contribuiscono in modo massiccio alle emissioni di gas serra che la COP21 si propone di contenere.
Oltre alle caratteristiche degli sponsor, la stessa presenza degli sponsor suggerisce l’ambito nel quale la COP21 cercherà di negoziare un accordo globale sulle emissioni affinché l’aumento delle temperature non superi la soglia critica. Questo ambito é, appunto, il business as usual.
Una nota frase di Einstein recita: non si può risolvere un problema usando la stessa mentalità che lo ha creato. Il business as usual ha causato la crisi climatica e ambientale. Potrà mai risolverla?
Nell’ambito del business as usual, di solito si suggerisce di gestire le emissioni climalteranti attraverso gli strumenti finanziari. Infatti i grandi gruppi d’affari sperano che la COP21 fissi a livello globale il prezzo da pagare per emettere gas serra, preferibilmente attraverso il “cap and trade”. Letteralmente significa “tetto e commercio”: si tratta di stabilire un tetto massimo di emissioni e permettere la compravendita dei diritti di emissione al di sotto di questo tetto. Il “cap and trade” é il concetto chiave del sistema ETS che l’Unione Europea ha adottato già da tempo: solo che questo sistema si é dimostrato palesemente inefficace per ridurre le emissioni. Eppure la Cina vuole adottare il “cap and trade” entro il 2017.
Se l’esempio europeo non funziona, perché la Cina intende seguirlo? Perché i grandi gruppi d’affari lo invocano come soluzione? Legittimo sospetto: perché si aprirebbe un nuovo mercato globale, quello delle quote di emissione appunto, nel quale applicare il business as usual. Come se avessimo un pianeta di riserva sul quale andare ad abitare quando la Terra sarà troppo calda. Come se qualcuno potesse mai garantire che la reale entità delle emissioni corrisponderà a quella descritta dai castelli di carta e dalle transazioni finanziarie.
La crisi ecologica e climatica può essere risolta soltanto uscendo dallo schema che l’ha creata. Uno schema in base al quale l’energia da fonti fossili ha un prezzo di gran lunga inferiore al suo costo. Si tratta proprio del costo economico, del vil denaro: il Fondo Monetario Internazionale (non esattamente un gruppo di fondamentalisti ecologici…) ha calcolato nel maggio scorso che ogni minuto nel mondo le fonti fossili di energia ricevono sussidi pubblici e causano danni come esternalità pari a 10 milioni di dollari. In un anno, sono 5.300 miliardi di dollari. Il grosso di questa cifra é rappresentato dai costi sanitari e sociali dell’inquinamento e dei costi ambientali legati al riscaldamento globale: le cosiddette esternalità. Nell’UE, precisa uno studio redatto nel 2014 per incarico della Commissione Europea (riassunto in italiano), ogni anno la produzione di energia causa danni ed esternalità per 150-310 milioni di euro, quasi totalmente imputabili alle fonti fossili che in più ricevono sussidi per miliardi e miliardi di euro.
In varie parti del mondo, compresa l’UE, il costo dell’energia elettrica prodotta da fonti pulite – solare ed eolico – é ormai vicinissimo al costo dell’energia prodotta da fonti convenzionali. Solo che nel costo dell’energia da fonti convenzionali non sono calcolate le esternalità negative. Basterebbe che l’UE applicasse anche all’energia il concetto del libero mercato e della leale concorrenza che, a torto o a ragione, costituisce il perno della sua visione della realtà: basterebbe che l’UE eliminasse i sussidi alle energie e comprendesse anche le esternalità nel calcolo del costo. Le fonti fossili finirebbero immediatamente fuori mercato. Altro che la COP21, i suoi sponsor e il business as usual: sarebbe questo il contributo vincente dell’UE alla lotta ai cambiamenti climatici.
Noi lavoriamo nel Parlamento Europeo per instradare l’UE in questa direzione. Durante l’esame in commissione ITRE della comunicazione della Commissione Europea “Una strategia quadro per un’Unione dell’energia resiliente, corredata da una politica lungimirante in materia di cambiamenti climatici”, abbiamo presentato, fra gli altri, un emendamento (immagine in fondo a sinistra) affinché vengano sempre considerati e calcolati i costi nascosti delle energie fossili. La commissione ITRE ha approvato un emendamento di compromesso (immagine in fondo a destra) che contiene il nostro concetto principale.
Il testo sulla “Strategia quadro” uscito dalla commissione ITRE si intitola “Sui progressi verso un’Unione europea dell’Energia”. Questa pagina contiene i link a tutti i documenti relativi al processo di elaborazione. Lunedì prossimo é chiamata ad esprimersi in proposito l’assemblea plenaria del Parlamento Europeo. Ovviamente ci batteremo affinché anche in plenaria venga approvato il principio di tenere sempre conto dei costi nascosti delle energie fossili.